La yaba, che in lingua morè significa nonna, ricordava la figlia Akua nel giorno in cui si era incamminata sulla strada di baobab dirigendosi verso il “bosco blu”. Era l’ultima volta che la vide. L’ultima volta che vide il nipotino Ayo che teneva fiducioso per mano la madre. Si erano allontanati lasciando il villaggio nel nord del Burkina Faso dopo che i jihadisti avevano assassinato il padre e il marito. Akua non poteva più vivere nella certezza che a suo figlio il futuro fosse negato. Doveva partire verso un luogo in cui almeno ai bambini venisse data l’illusione di aver diritto di crescere in pace. Partiamo da qui, da questo villaggio nel nord del paese subsahariano, per parlarvi de “Il bosco blu” di Antonella Bertolotti. In questo ultimo impegno letterario emerge, più che nei lavori già pubblicati, la natura profonda del progetto di vita di Bertolotti: medico psichiatra, attivista instancabile nella cooperazione internazionale, sensibile ai grandi temi della transizione ecologica, attenta ad ogni dettaglio della vita delle persone che incontra. Un insieme di interessi che le permettono di avere salda padronanza su temi complessi quali quelli affrontati nel racconto. In questo racconto lungo Antonella Bertolotti non fa sconti alle contraddizioni del nord e del sud del mondo, ma anche a quelle dell’animo umano la cui debolezza, spesso, gli impedisce di prendere decisioni che potrebbero, se non cambiare il corso della Storia, almeno migliorare la vita delle persone con le quali interagisce e delle quali ha responsabilità.